La promessa del tramonto

Vent’anni per scriverlo, tanta passione per promuoverlo, con risultati invero alterni, tante parole buone da lettori amici e sconosciuti. E finora neanche due righe nella sezione del blog dedicato a Cosa ho scritto. Lo faccio ora, brevemente, arricchendo questo mio diario a tre mesi dalla pubblicazione del libro. Mi chiedono come sta andando, come se avessi notizie di prima mano – e invece non so nemmeno quante copie sono stati pubblicate e quante distribuite – mentre invece i miei editor sono assolutamente discreti su questo, avendo evidentemente scelto di non turbare la mia serenità. Per lo stesso motivo sono rimasta ai margini della promozione organizzata dalla casa editrice, la tournée prospettata non si è mai concretizzata e non mi sembra un complimento.
A prescindere da ipotesi più o meno fantasiose e devastanti – che lascio a chi voglia occuparsene – ho cominciato a muovermi io cercando di mettere un poco in mostra il mio titolo, e con qualche risultato. Anche se tocco con mano che nel marasma del pubblicato, con la varietà delle offerte, è davvero difficile farsi notare e immagino che il mio editore voglia esporsi, proponendomi, solo se ha la ragionevole speranza (certezza?) di avere un riscontro di copie vendute oltre le due cifre con la prima oltre il 2 o più su ancora. Vale anche per le librerie? Mi sbatto solo se ho un riscontro sicuro? Ma certo che comprensibilmente sì. Peccato che nessuno sia in grado di assicurare un numero adeguato di presenze e copie vendute a una qualsivoglia presentazione.
Il mio bilancio resta comunque positivo. Questa mia saga di famiglia, che segue il percorso avventuroso dei miei genitori, è emblematica per le storie di tante famiglie di ebrei, palestinesi, curdi, armeni e ogni altra sorta di profughi. È una storia di amore – com’è stato detto – ma anche e soprattutto una storia di coraggio, dignità, impegno civile, coerenza anche politica. E allo stesso tempo una riflessione su una delle ideologie più importanti del 900, vale a dire il comunismo trasformatosi in stalinismo. Molti hanno criticato titolo e cover, altri li hanno trovati interessanti e appropriati. Alcuni librai si sono schierati dalla mia parte, altri mi hanno ignorato. Una chicca mi scalda il cuore. A un’amica, andata ad acquistare il libro in una libreria Feltrinelli di Milano la cassiera ha detto, con un sorriso: pensi che è una storia vera. Io l’ho letta. Un frase buttata lì, al momento dell’acquisto, cioè quando ormai non serviva da proposta promozionale.La considero un augurio per il 2017.

4 Comments

  1. Nicoletta Sipos

    grazie mille! Non ho ritoccato il suo testo, ai fini della comunicazione è perfetto e ne rispetto il senso e l’essenza. Apprezzo la sensibilità che la porta a riconoscere la fatica e le paure che hanno costellato per troppi anni questo mio lavoro. Se mi aiuta a correggere gli errori che ha riscontrato nel mio ungherese seguirò i suoi consigli con gratitudine. La lingua è sempre una faccenda delicata, come lei può confermare in base alle sue esperienze personali, e a volte provoca una sofferenza forse superiore alle nostre forze. Cercherò comunque di stabilire un contatto diretto tramite l’Osservatorio Letterario che lei dirige. Mi farebbe molto piacere parlare più a lungo e conoscere meglio l’ambito del suo impegno come avamposto di cultura ungherese in Italia. Ancora grazie

    • Grazie del Suo gentile riscontro, ho anche letto la Sua e-mail. Ho fatto a mano – con la matita – un elenco di note mentre leggevo il libro -, appena potrò lo trascriverò e Le farò avere ed inoltre risponderò anche più ampiamente alle ulteriori suoi questioni accennate.
      N.b. In questo mio commento di sopra, naturalmente, in cui accenno i due tipi di coniugazione ungherese, volevo scrivere “coniugazione soggettiva e […]”. Sperò assai che i Lettori capiscano che si tratti di un errore di battitura…). Grazie di nuovo, buona domenica e a presto! Mttb

  2. rispedisco corretto – in cui sono riuscita a scoprire gli errori ed ho anche ampliato il testo, quindi questa versione è valida. Chiedo cortesemente correggere, italianizzare il testo. Grazie! Mttb

    Ecco il commento:

    Gentile Signora,
    alcune ore fa ho terminato il suo libro intitolato «La promessa del tramonto», di cui la lettura l’ho iniziato in tardo pomeriggio di ieri l’altro (19/02/2017) nell’attesa della copia campione della mia rivista e nella cura del forte raffreddore – occhi lacrimanti promettendo, causati da questo fastidiosissima malattia che secondo la scienza medica se viene curata dura una settimana e se non viene curata… dura una settimana … – . Nonostante che la mia famiglia è cattolica romana, ma con intellettuali avi di radici nobili, borghesi materni, artigiani paterni con discendenti intellettuali, altamente istruiti (scienziati, studiosi, artisti – musicisti, pittori, poeti [come lontana parentela materna con Juhász Gyula], famoso medico o arciprete martire sempre nel ramo dei Kálló, cugini di primo grado della mia nonna materna ecc. ecc., pedagoghi, professori ecc…), non appartenenti al proletariato o ai contadini, in famiglia, nella parentela abbiamo avuto esperienze di persecuzioni di vario tipo, anche esperienze di munkatábor e di kitelepítés, divieto o ostacoli di studi universitari o licenziamenti dai posti di lavoro… E nonostante tutto facevano parte anche nei salvataggi dei conoscenti ebrei… Il medico di famiglia dei nonni materni era ebreo, oltre essendo medico anche loro amico. Dai racconti sussurrati anche nelle mie orecchia sono arrivate certe notizie… Quindi leggendo la storia dei Suoi genitori mi sono ritrovata nell’atmosfera conosciuta dai racconti dei genitori, nonni e da altri parenti. (Un mio zio, fratello di mia nonna materna, musicista – compositore e pianista e anche giurista, poi andò in pensione come docente universitario, da giovane docente fu prelevato dalla strada mentre andava alla tabaccheria (trafik) per comprare un pacco di sigarette e fu deportato nell’Unione Sovietica e poté ringraziare la sua vita al comandate in cui fu prigioniero, che ebbe la passione per la musica classica e così invece di far lavoro forzato suo compito fu di suonargli il pianoforte…, ma molti altri cucini di mia nonna non furono così fortunati né nel fascismo né nel comunismo…)
    Poi, Le devo dire che non soltanto negli anni ’40 e 50’ (in una parte dei fascisti-nazisti in altra parte dei comunisti), ma anche negli anni successivi abbiamo subito azioni criminali – le considero tali – del l’apparato kádáriano.… Noi abbiamo sentito sulla propria pelle. Particolarmente la mia famiglia, perché anche i miei genitori ed anche noi abbiamo rifiutato di iscriverci al partito comunista. Ed anch’io, fino al mio matrimonio personalmente ho subito la persecuzione negli anni dell’agonia del sistema kádáriano: volevano dimostrare che “una professoressa e pedagoga idealista non può insegnare ed educare la futura gioventù della Patria”… Fecero tutto per ostacolarmi nell’ottenere la laurea, poi durante il mio lavoro d’insegnamento nella scuola pubblica in cui, ciò nonostante, ebbi la mia cattedra a tempo indeterminato …) Mentre nella famiglia del mio zio paterno, i componenti essendo tutti iscritti al partito comunista, non hanno avuto nessun tipo di ostacolo nell’avanzamento della carriera, non vennero molestati, anzi…, la mia famiglia prima segretamente poi apertamente fu oggetto delle varie azioni di persecuzioni anche più spaventose anche con la minaccia di morte e tentativo di provocare incidente… (storia lunga e terribile anche da rievocare, ma non è possibile rimuoverla dalla mente… Non potendo danneggiarci nei nostri lavori per la nostra bravura, tramite i varie spie, collaboratori cercavano di fare tutto per comprometterci e “metterci fuori di gioco”. Tante lettere minacciose testimoniano lo sporco gioco del regime di Kádár che ora molti ripiangono: venne inizio la caccia politica con due brevi messaggi scritti su un pezzo di foglietto strappato da un quaderno scolastico: «Holnap meghalsz» – indirizzato a me, ma per sbaglio posizionato sul balcone di pianoterra di miei genitori , «Holnapután felakasztanak benneteket!» – messaggio indirizzato a miei genitori ma messo al mio balcone accanto al balcone dei miei, distante di tre finestre (due di miei genitori, una mia)… Poi sistematicamente seguirono altre lettere di minaccia più estese sempre più crudeli e triviali… accanto altre molestie telefoniche, suoni di campanello, irruzione nell’appartamento durante le nostre assenze, inseguimenti ecc… Un storia molto lunga… Ed ancora molti dicono che non era possibile, certe cose non potevano accadere… Anche nella stessa famiglia da parte delle sorelle che vivevano lontano da noi anzi una, minacciata, era anche organizzata nel sistema… Quindi leggendo il suo libro inevitabilmente ho rivissuto sia la propria esperienza persecutiva che quella dei parenti miei, nonché tutto quello che comporta un trasferimento – anche se non clandestino – definitivo dalla madre patria in un’altra nazione che la definisco patria d’adozione… Anche oltre 33 anni si ha la nostalgia per la patria natia, per le proprie radici, per gli odori, profumi, sapori, per le atmosfere dei momenti felici in famiglia… E si sente sradicati fino all’ultimo respiro sia qua, nella nuova patria sia nella patria natia.
    Non so che gli italiani quanto riescano a comprendere tutta questa tragedia familiare oltre la commozione che si fa in caso dei libri da strappalacrime. Il vero valore di questo libro lo potranno percepire giustamente coloro che hanno vissuto simili tragedie sia direttamente che indirettamente. Oggi che tempi viviamo, sarebbe importantissimo se molti leggessero questo libro. Ma poi? Questi nostri giorni purtroppo indicano che dalla storia la gente non ha imparato nulla, l’odio dilagante ovunque lo testimonia purtroppo…
    Una cosa che mi disturbava un po’: alcune espressioni o nomi ungheresi scritti erroneamente… È accettabile dalle labbra della signora italiana (Sara), perché gli stranieri non riescono ad imparare e distinguere bene ‘az ige alanyi és tárgyas ragozását’ cioè la conciugazione sossettiva ed oggettiva (ad es. quando si usa ‘kívánok’ o ‘kívánom’ (nel salutare si dice “Jó napot kívánok!” e non ‘kívánom’, in quest’iltimo caso si dovrebbe formulare così: “Kívánom, hogy jó napja legyen!”, ma in questa forma non è la formula di saluto del “Buongiorno!” Ho apprezzato che i nomi ungheresi – però alcuni non sono scritti correttamente -sono rimasti ungheresi e non tradotti come fecero nelle traduzioni italiane nel passato per lunghi decenni a partire dagli anni ’30. Però, dato che nella pronuncia degli italiani vengono spiacevolmente modificati alcuni nomi o alcune espressioni ungheresi io avrei fatto un elenco di nota alla fine con la trascrizione fonetica della pronuncia ed in parentesi avrei aggiunto il nome corrispondente in cui non si può neanche intuirlo.)
    Grazie di questo Suo lavoro, di questa Sua fatica che le poteva costare tanto spiritualmente, emotivamente ma ne valeva la pena scrivere questa storia familiare che spero tanto che possa essere per tutti anche un ammaestramento naturalmente in senso positivo!
    Cordiali saluti e mi perdoni gli errori,
    Melinda B. Tamás-Tarr (n. 12/12/1953)
    Dir. Resp. & Edit dell’Osservatorio Letterario
    (Docente di Ungherese – Letteratura – Storia – Lingua e Cultura Italiana per Stranieri – Giornalista – Traduttrice letteraria…)

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