Il piacere di scrivere

«Scrivere per il piacere di scrivere è una fantasia pericolosa» annotava Joseph Conrad nella dedica al grande maestro Henry James del suo Lo specchio dei mari. Per Conrad la scrittura era evidentemente studio del testo, controllo del linguaggio, analisi accurata del messaggio. Le molte correzioni che l’autore di Lord Jim, Cuore di tenebra, Linea d’ombra apporta ai suoi lavori nel corso delle diverse stesure, testimoniano una fatica lucida e rigorosa. E, allo stesso tempo, una costante, tormentosa insicurezza. Forse entrambe, intendo dire fatica e insicurezza, erano necessarie per tirare a lucido il suo inglese, la terza lingua che aveva imparato a padroneggiare dopo il polacco e il francese.
Trovo commovente quest’appunto di Conrad e lo considero un utile pro memoria per il mio 2014. Potrebbe forse servire anche ad altri. Non tanto ai molti autori d’oggi – che sicuramente si macerano sulle loro pagine inseguendo elevati ideali di perfezione – quanto piuttosto ai volonterosi che affrontano uno dei tanti laboratori di scrittura sulla piazza (inclusi modestamente i miei). Questi amici sembrano spesso pensare che il generico concetto d’ispirazione basti per dare un senso compiuto alla comunicazione e restano increduli, perplessi, perfino vagamente offesi quando si trovano davanti a tediose richieste di correzioni di rotta o precisazioni. La ricerca della parola giusta (quell’unica parola che secondo Flaubert definisce un certo pensiero o una certa situazione), la sequenza ideale del racconto, la chiarezza dell’esposizione — sono cose che richiedono a volte più di un passaggio o due. Sotto questo profilo gli scrittori anglofoni sono indubbiamente privilegiati perché si trovano alle spalle agenti ed editors impegnati a lavorare sui loro testi con passione. Anche se poi non arrivano a produrre capolavori autentici, ma lavori artigianali di buona fattura. Il che, comunque, non è poco.

4 Comments

  1. Cara Nicoletta, non bazzico facebook ma mi è capitato tramite Rita questo tuo ritaglio e voglio condividere tutto ciò che hai scritto, la certosina maniacale perfezione di Conrad, e il ruolo di editors e agenti in altri mondi. E che dire di Proust, che per la Recherche aggiunse tolse scrisse e riscrisse fino a fare “paperolles” di fisarmoniche di correzioni lunghe metri oltre il foglio? E Melville? E Pavese, che per tradurre il Moby Dick a 23 anni fu in corrispondena con un amico docente in America, Chiuminatto, per farsi segnare i giusti termini di slang marinaro per una accurata traduzione, infatti ancor oggi insuperata. Questi sono i geni che, appunto, fanno dello scrivere il gusto e il piacere quasi “sensuale” “erotico” della pagina e della parola.
    Tu sai che nel mio piccolo io scrivo le prime stesure sempre a penna, e arrivo esausto al lavoro finito, si fa per dire, dopo decine di riletture e ripassi e riscritture: tormento ed estasi, appunto. Grazie di aver messo il dito sulla piaga, e di aver sollevato la parola scritta in un mondo di non scrittura. Buon anno, col cuore, mario

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