A colloquio con Massimo Gramellini

Per chi l’avesse persa, ecco l’intervista apparsa sul settimanale CHI con Massimo Gramellini
«Volevo scrivere un pamphlet su come affrontare la vita superando dolore e paura. Mi pareva importante farlo in un periodo di crisi come questo per dire, in buona sostanza, che gli ostacoli ci fanno soffrire, ma portano alla luce i nostri talenti dormienti. Lungo la strada ho abbandonato il saggio per il romanzo». Massimo Gramellini, 50 anni, vicedirettore de La Stampa e volto televisivo grazie alla presenza settimanale in Che tempo che fa, è soddisfatto ma anche un po’ stupito del successo di Fai bei sogni (Longanesi). Il suo romanzo-verità è in classifica da otto settimane e ha venduto 500 mila copie. Un record strabiliante per l’Italia, proprio mentre il mercato editoriale si restringe. Un record da capire.
Domanda. Com’è arrivato al romanzo?
Risposta. «Ho scoperto solo un anno e mezzo fa la verità sulla morte di mia madre. La tragedia che mi ha colpito quando avevo nove anni e ha segnato tutta la mia vita rendendomi timido, introverso, pauroso. Mi avevano detto che era morta all’improvviso, d’infarto. Ma era una pietosa bugia. In realtà mia madre aveva scelto di morire. La scoperta mi ha sconvolto, ma poi ho cominciato a risalire la china. Ho capito che raccontare le ferite della mia infanzia e come ne ero uscito, era esattamente l’idea che avevo in mente. E ho capito che dovevo passare al romanzo: la narrazione ha potenza d’incanto, arriva in profondità».
D. Quando ha cominciato a scrivere?
R. «Ho preso un mese di vacanza lo scorso luglio e mi sono chiuso nella mia casa di Torino per lavorare. Sapevo che andavo incontro a critiche anche acide, che molti mi avrebbero accusato di sfruttare un dolore privato, ma ero convinto di dover rischiare. In città faceva molto freddo quel luglio. Scrivevo in maglione e mi sono subito ammalato. Sono da sempre un ipocondriaco, e quando ho qualche linea di febbre mi metto a letto per paura delle complicazioni. Ma questa volta ho continuato a scrivere con un’energia incredibile e alla fine del mese avevo l’ossatura del romanzo. Mi sono preso poi il tempo di limarlo con calma prima di consegnarlo all’editore, per mettere a fuoco messaggio della storia».
D. Vale a dire?
R. «Per vivere bene dobbiamo scoprire le potenzialità che portiamo nel cuore. Le prove che tanto ci spaventano possono diventare una scossa benefica, un’occasione di crescita. La paura istintiva del dolore, del fallimento, ci porta a chiudere con l’amore, ci spinge a rinunciare ai sogni. È una scelta di “non vita” che ci paralizza. Per vivere dobbiamo smettere il ruolo di vittime accettando nuove sfide».
D. Lei come ha superato le sue paure?
R. «Col perdono. Oggi il ricordo di mia madre non mi fa più mal: non la considero più una traditrice. Ho anche rivalutato il ruolo di mio padre, l’amore che aveva per la mamma, il desiderio di protezione nei miei confronti. Il perdono mi ha permesso di diventare la persona coraggiosa che per buona parte della mia vita non ho osato essere».
D. A giudicare dal successo, il pubblico ha capito…
R. «Sì. Lo confermano le migliaia di mail e lettere che ricevo ogni giorno. Molte contengono docce d’emozione che mi commuovono e coinvolgono. Come la mail di quel ragazzo che ha perso prima il padre e poi la madre, e a un certo punto ha rinunciato all’amore della sua ragazza per paura di perdere pure lei. Ha finito il mio libro a notte fonda, e ha atteso l’alba con impazienza per correre dall’amica e pregarla di tornare da lui».
D. Com’è nata la sua sintonia con i lettori?
R. «Devo tutto alla Posta del cuore che Carlo Rossella mi affidò 14 anni fa sullo Specchio, quando era direttore de La Stampa. Un uomo che parlava di sentimenti era una rarità e fece breccia. In seguito gli amici di Che tempo che fa mi videro presentare in tv una raccolta delle lettere che avevo ricevuto e mi invitarono a partecipare alla trasmissione. Cominciai una volta al mese, poi l’appuntamento divenne settimanale. Fu un passo importante, perché il programma di Fazio ha un legame forte con gli spettatori, è una sorta di club».
D. La tv l’aiuta a vendere libri?
R. «Senza dubbio. Ma si è anche creato un felice cortocircuito. I lettori che vanno in libreria e vedono un mio libro, riconoscono in me un volto amico. E, molti miei lettori sono diventati fans di Fazio».
D. Due matrimoni senza figli…
R. «Comincio a pensarci adesso dopo avere fatto i conti con il bambino che è in me. Finora ero troppo impegnato a prendermela con le scelte di mio padre per assumermi la responsabilità di un figlio. Del resto ho “solo” cinquant’anni, l’età giusta nell’Italia d’oggi per sentirsi adulti».
D. Lei è passato dall’esoterismo del suo libro d’esordio, L’ultima riga delle favole, al suo dramma personale. Cos’ha in programma?
R. «Continuerò a scrivere di sentimenti. Ma prima di scegliere il prossimo tema voglio leggere i messaggi di queste settimane. L’amico che li sta selezionando mi ha assicurato che contengono materiale per cinquanta romanzi».

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