Ritorni

Devo al mio H l’incontro con la mia vecchia amica F. M. che mi ha dato grande piacere Mi ha trovato lei, gentilmente,  dopo oltre sessant’anni trovando casualmente in una libreria La guerra di H.  Eravamo insieme al Parini di Milano, sia alla Scuola Media che al Ginnasio. Ma a metà della prima Liceo ero misteriosamente scomparsa.  Strani tempi quegli anni Cinquanta del Novecento. La guerra era notizia fresca,  si riteneva una fortuna che fosse diventata fredda. Ognuno badava al suo campicello e dopo tante morti e tante scomparse, una sparizione faceva poca differenza. Mi hanno creduto ammalata, dico a Franca giustificandomi dopo tutti questi anni.  Per una diagnosi fortunatamente sbagliata il neurologo aveva pensato che soffrissi di cancro al cervello e mi aveva dato dai 3 ai 6 mesi di vita. Mica noccioline per una ragazza che all’epoca aveva 16 anni.

Mia madre, o i professori, avrebbero potuto dirlo ai compagni. Spiegare cosa mi stava succedendo. Magari evitando i aggiungere che si era partiti da una diagnosi fatale. Bastava che dicessero che mi ero ritirata perché stavo male e non me la sentivo più di studiare. Invece si era preferito il silenzio. Si usava così a quel tempo. Per non turbare le anime sensibili dei giovanetti. O per risparmiare fatica. O perché i tempi erano duri per tutti e aggiungere altri pensieri non sembrava gran cosa. Tante ombre che la mia amica e io abbiamo finalmente dissipato  sessanta e più dopo. 

Dalle nostre chiacchiere è saltato fuori che ci eravamo perse altri pezzi di vita. Noi Sipos eravamo profughi provenienti dall’Ungheria stalinista. Ma anche la famiglia di Franca veniva da lontano. Era d’origine istriana e aveva perso molto nel turbolento dopoguerra. Certo, noi eravamo ridotti a pochi spiccioli, mentre loro, pur avendo perduto terre, immobili e persino una fabbrica, disponevano di un buon patrimonio. Anche mia madre aveva due appartamenti. In uno abitavamo noi, mentre da quello affittato non beccava un soldo perché era occupato da una sua sorella con famiglia che pur essendo in condizioni più che floride chissà perché si sentiva in diritto di non pagare l’affitto e neppure le spese condominiali. Anche se a quel tempo non le sarebbero mancati i mezzi per aiutarci. Ma non ci aveva pensato: eppure sapeva che mia madre – infermiera diplomata – si arrampicava sui vetri per mettere in tavola pranzo e cena.

E stato un bell’incontro, quello con la mia compagna di classe di un tempo. Abbiamo colmato dei buchi e lisciato diverse pieghe. Ora si tratta solo di non lasciar cadere il tutto nel dimenticatoio. Solo?

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