Dal viaggio nel mondo nuovo

Ancora sotto l’effetto delle nozze reali che ho seguito nell’ennesimo replay tra le 1 e le 3 di notte (ieri è stata una giornata complicata) metto nero su bianco un paio di considerazioni sulle recenti esternazioni di alcune amiche, lettrici renitenti, su “Perché io no?”. Richieste di spiegare le loro ragioni, hanno riassunto l’ “io no” dicendo che hanno chiuso da tempo il capitolo figli e voltato pagina. Ho risposto a tutte che non sarà facile far voltare pagina a una società che invecchia rapidamente e sembra regredire di continuo nella “produzione” di bambini. Che affrontare le nascite in costante decrescita e la necessità di trovare rimedi concreti è un dovere civile. A quel punto alcune di loro hanno deciso di leggere il libro e poi mi hanno gentilmente telefonato dicendo che l’avevano trovato utile e ricco di informazioni e perfino bello.Sono risposte consolanti, ma mi lasciano una sensazione di allarme. Qualcosa non funziona nella comunicazione se “Perché io no?” viene visto in modo esclusivo come un manuale per donne che non riescono ad avere figli. L’idea nostra era infatti di abbattere la barriera di vergogna e di silenzio che circonda l’infertilità, e di aprire un dialogo utile e perfino consolatorio. Ma volevamo anche dimostrare che il problema ci riguarda tutti, da vicino. Si tratta infatti di un problema demografico, legislativo, etico che purtroppo è destinato a restare ancora a lungo, che dev’essere conosciuto e che dovrebbe esortare le persone di buona volontà a un’azione concreta e coordinata per eliminare pregiudizi e paure che circondano la fecondazione assistita e per dare maggiore libertà di scelta alle migliaia di donne che sono escluse dalle tecniche moderne per insipienza o mancanza di soldi, perché i centri pubblici sono scarsi, hanno tempi di attesa proibitivi e la legge 40 contiene ancora troppi fattori resitrittivi. L’idea era di ricordare a tutti che l’infertilità e un problema sociale e di suonare una più generale chiamata alle armi. Questo resta, in primo luogo, il nostro intento. E la nostra speranza. Ma evidentemente abbiamo ancora molta strada da fare.

3 Comments

  1. Ciao Nicoletta,ti ho scoperta oggi e intendo approfondire questa consocenza andando a leggere a ritroso i tuoi post e soprattutto leggendo il tuo libro. Ma era troppo forte la voglia di presentarmi subito e dirti.: – ehi, ci sono anche io! –
    Io che quotidianamente, nel mio piccolo, sto cercando di creare un gruppo, una comunità di donne, mettendo a disposizione uno spazio in cui condividere gli stessi problemi, le stesse ansie, le stesse paure. Un luogo in cui poter essere finalmente libere di esprimere quello che siamo, gridare la nostra verità su questa faticosa ricerca, accompagnarci con riflessioni serie e anche tanta ironia.
    Siamo in tante a vivere questo percorso doloroso e siamo troppo spesso sole. Io questo ho sentito fin da subito e a questo ho cercato di porre rimedio, a modo mio, come sapevo e potevo fare: con il mio blog. Mi sono scontrata troppo spesso con l’ignoranza, l’incomprensione e la superficialità delle persone, in breve mi sono accorta che sull’argomento si sono creati, nel tempo, falsi miti e leggende che contribuiscono ad offuscare la verità, la reale entità di un problema che si chiama infertilità che troppo spesso è taciuto, tenuto nascosto, vissuto con senso di colpa, come un’onta di cui vergognarsi. Mi è venuto a mancare il confronto, il senso di appartenenza, perchè nella vita di tutti i giorni non se ne parla, chi lo vive sulla sua pelle preferisce non esternare nulla, ma custodirlo come un segreto poco gradevole. E il risulatto è che la verità entità del problema viene sottovalutata, le sue implicazioni psicologiche ed emotive rimangono appananggio di chi è costretta a subirle, non riuscendo in molti casi ad agirle.
    Io non ci sto, io ho bisogno, in quanto donna, di confrontarmi, di condividire e scoprire che ciò che provo io, ciò che penso o sento io, può diventare terreno fertile d’incontro e scambio con tante altre donne che come me lottano ogni giorno. Perchè nella diversità dei percorsi io ho scoperto esserci tanta somiglianza, tante cose che ci accomunano, ci avvicinano, ci unicono.
    Io non mi riconosco nell’informazione di massa, la mia “categoria” non la vedo rappresentata, l’argomento solitamente è affrontato da un punto di vista tecnico e medico, non umano. E non è solo di questo che ho bisogno.

    Non ha uno scopo questo mio commento, se non la voglia di far sentire la mia voce, la mia presenza, il mio impegno, la mia rabbia, il mio dissenso, la mia amarezza, la mia forza, la mia determinazione e la mia speranza.
    Poter dire qui che ci sono, ci siamo e siamo in tante.
    e per ringraziarti di cuore 🙂

    Perdona la lunghezza, ma c’è davvero tanto da dire…

    • Nicoletta Sipos

      Cara Nina, ti ho letta con affettuoso interesse. La lunghezza della tua presentazione è adeguata al molto che c’è da dire. Tanto che il mio ibro ha una sua pagina fb (stesso titolo del libro) dove s’intavolano colloqui e risate e magari, qualche rara volta, si scatenano confronti quasi rissosi. Abbiamo bisogno anche di questo. Insomma, resta con noi. Tra l’altro abbiamo bisogno di tante voci (e voti) in vista della decisione che la Consulta dovrà prendere quest’autunno sulla fecondazione eterologa. Se poi tu abitassi a Milano – il 10 maggio, ore 20 e 30, abbiamo il convegno Laicità e scienza alla Biblioteca Venezia (via Frisi 2/4 – MM1 fermata Porta Venezia). Alla prossima

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