Il complesso di Barbablù (2)

Lo psichiatra francese Jean-Albert Meynard dedica un intero saggio all’interpretazione della storia di Barbablù. Si tratta de Il complesso di Barbablù – Psicologia della cattiveria e dell’odio (Frassinelli, 2007). Dalla fiaba emergono qui altri dettagli importanti. A cominciare dal dettaglio della barba, che piccolo non è: essendo lunga, sottile e per di più blù segnala fin dalle primissime battute a cattiveria del personaggio, forse ispirato agli esempi storici di Entrico VIII, Gilles de Rais e a una lunga serie di predatori famosi o anonimi.
Giustamente l’amore non compare nel matrimonio del sinistro protagonista. Di matrimoni d’amore non si parlava affatto in quei tempi (l’amore farà semmai capolino con la rivoluzione borghese), ma le nozze di Barbablù sono particolarmente tristi. La giovane moglie pensa solo a soddisfare la propria vanità con i benefici che le assicura il ricco marito, mentre l’orrendo protagonista rivela fin dall’inizio che mira a un piacere sadico torturando la sposa e poi uccidendola come ha ucciso le precedenti compagne.
In effetti è lui stesso che spinge la moglie a tradirei suoi ordini, mettendole in mano gli strumenti più adatti: la chiave della cameretta e il viaggio che lo porterà lontano, lasciando mano libera alla moglie. E la donna sta al gioco, proprio come le altre spose che l’hanno preceduta. Le sorelle maggiori, più accorte, hanno ben capito il rischio e hanno respinto il pretendente. L’ingenua resta invece abbagliata dalla generosità dell’uomo.
E così la fiaba procede con una simbologia precisa.
1. La chiave imbrattata di sangue dimostra che basta aprire la porta del proibito per carpire i segreti della sessualità.
2. La chiave viene affidata una giovane inesperta con il presupposto che non avrà il coraggio di arrivare a segreti maschili, ma alla fine denuncerà la trasgressione.
3. La camera proibita è nera e piena di sangue non può stupire. Rivela la natura sessuale dei crimini di Barbablù.
4. I bambini sono giustamente affascinati dalla sessualità prorompente e pericolosa del protagonista. Ricorderanno a lungo che le storie di sesso sono ad alto rischio.
5. La pena di morte, applicata in certi Paesi ancora oggi alle adultere, definisce il crimine della giovane moglie.
6. Barbablù è l’impotente onnipotente: non è in grado di deflorare le vergini che sposa, e le sue cupe minacce non arrivano a impedire che le sue donne lo tradiscano. Può però vendicarsi tagliando loro la gola in una sinistra deflorazione.
7. La sposa infedele cerca di pulire la chiave imbrattata senza riuscirci, eppure rimane nel castello senza tentare la fuga. Una scelta importante per l’autore che vuole condurre la storia al lieto fine.
8. Nonostante tutto, Barbablù sarà giustamente punito e la giovane moglie, salvata da morte orrenda, non solo erediterà le sue ricchezze, ma potrà anche sposare un principe bello e buono. Con grande soddisfazione dei piccoli lettori, ovviamente, che dopo i brividi paura avranno finalmente modo di rilassarsi.
9. Eppure, usando un minimo di saggezza la moglie avrebbe potuto evitare un matrimonio così carico di ombre. In fondo è proprio questa la lezione più profonda della fiaba di Perrault che a distanza di secoli ammonisce: i predatori individuano a colpo d’occhio la fragilità delle loro vittime. Tenete dunque gli occhi bene aperti, non fidatevi delle loro lusinghe, non lasciatevi incantare da facili promesse, non cedete al narcisismo. Mollate piuttosto il colpo anche a costo di qualche rinuncia. Il monito resta valido anche per le donne che ancora oggi si lasciano tentare da orchi seducenti, nascosti sotto maschere di generosa benevolenza. E sperano di convertire il loro carnefice, contro ogni ragionevolezza. La sottomissione non è una virtù quando la controparte ne abusa.
10. La sposa ingenua si salva per un intervento dei due fratelli che arrivano neutralizzare il mostro. Non avrebbe fatto meglio a fuggire, dopo il suo “crimine” evitando la morte annunciata?
Barbablù è, nell’ottica di Meynard, un pervertito totalmente disinteressato al sesso, che gode usando violenza e si appaga della sofferenza della partner. Per dirla con l’autore: «L’atto sessuale non esiste più come tale: è sostituito da una condotta operata, costruita su schemi arcaici del funzionamento libidico».
Aggiunge Meynard: «Il complesso di Barbablù non è circoscritto a un’epoca. Gli stessi tormenti assillano l’uomo fin dalla notte dei tempi. Fare ricorso, a gradi diversi,alla violenza fisica o morale per ricavare piacere costituisce il menu sessuale di un gran numero di persone». E continua: « la cattiveria e l’odio sono parte integrante del nostro quotidiano. Se ne vede le manifestazioni fin dalla più tenera infanzia. Tant’è che gli educatori (genitori, tate, maestri) cercano di circoscrivere eventuali eccessi con punizioni e offrendo esempi positivi di comportamenti positivi. Ma le radici del fenomeno sono molto profonde. Le prime forme di violenza costate sugli scheletri risalgono a 15 mila anni fa. Ma durante il Neolitico la situazione peggiora. Quella è l’epoca in cui la popolazione si sedentarizza, nascono i primi villaggi (Gerico, la prima vera città, è di 7 mila anni fa) si verifica una diversa distribuzione dei ruoli sociali, i mestieri si diversificano. La società si gerarchizza, arrivano i capi e hanno inizio le guerre.»
Tutto chiaro e condivisibile. Ipotizzare che la violenza è entrata nella Storia a un certo punto del Neolitico è, in fondo, il minore dei mali e lascia qualche spazio alla speranza. Sarebbe infinitamente peggio supporre che l’umanità è cattiva e aggressiva per sua natura. Certo, oggi molti scienziati sono dell’idea che non può essere così, che non saremmo sopravvissuti se le antiche società tribali fossero state prive di un forte spirito di solidarietà. Per altro, gli esperti vanno ritrovando sempre nuove prove di collaborazione tra i nostri remotissimi avi, che nutrivano handicappati, aiutavano gli anziani (anche se la vecchiaia preistorica è un concetto assai relativo) e seppellivano i morti mostrando una sensibilità che spesso non riconosciamo loro. I Barbablù nascono piuttosto da varie forme di disfunzione della rete d’informazioni del cervello. In molti casi si tratta di manifestazioni lievi – in uomini e donne – che si risolvono con “reciproca soddisfazione”. Nei casi più gravi le vittime si mettono alla mercé di predatori privi di scrupoli, di tiranni oscuri. E la loro storia non si conclude con il provvidenziale lieto fine che Perrault offre alla sua protagonista.

2 Comments

  1. Nicoletta Sipos

    Grazie Barbara. Ho letto Bettelheim quarant’anni fa — ho scritto spesso di fiabe anche sui giornali per i quali lavoravo, ma solo in questi ultimi mesi ho cominciato a vedere i messaggi che contengono sui rapporti umani— come dici tu.

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