Ricordi

della serata a Verano Brianza porto con me le parole dette da una signora, mentre mi portava la sua copia da firmare. «La scorsa estate sono stata a Norimberga con le mie figlie e mi hanno colpito i tedeschi che parlavano di dolore e rimpianto per il male fatto durante la guerra da compatrioti più vecchi di due o tre generazioni. Non erano responsabili, ma si sentivano ugualmente in torto. Per questo il tema del suo libro mi ha interessato e sono venuta all’incontro».

Durante i mesi scorsi, facendo lo slalom tra  Shoah e Resistenza, date fatidiche in cui i tedeschi vengono dipinti di default come criminali senza anima e aguzzini che non meritano pietà, sembrava a tratti insensato parlare della sofferenza di una famiglia tedesca durante e dopo la guerra. Il commento più logico – se la sono meritata – troncava ogni discorso. Certo, nel mio libro non c’è una virgola che fornisca l’ombra di un alibi al nazismo e alla sua follia distruttrice, e i miei 25 lettori l’hanno capito perfettamente – grazie al cielo – ma andare controcorrente non è sempre facile e/o gradevole. 

La signora di Verano mi ha fatto capire che altri condividono la mia pietà, il rispetto per le scelte di un gruppo di profughi che vogliono sopravvivere nonostante tutto,  che parlare della Germania in macerie è l’altra faccia della medaglia e che dunque completa i discorsi (giusti, indubbiamente) sulle colpe dei tedeschi. Non so se la incontrerò ancora, non ricordo il suo nome, non so se leggerà queste righe … e forse questi dettagli non hanno importanza. In ogni caso voglio ringraziarla. 

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