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Ci sono notizie che ti entrano nell’anima . Come le dichiarazioni fatte nei giorni scorsi in conferenza stampa dalle autorità regionali sulla situazione d’eccellenza della sanità lombarda e delle RSA che ospitano 300.000 anziani spesso afflitti da problemi di salute. Affermazioni azzardate che risultano ora smentite: anche se le correzioni sono arrivate dopo che l’assessore Gallera ha accusato certa stampa di propagare notizie false, senza eseguire gli opportuni controlli.

Aggiungiamo la storia infinita delle mascherine, rese obbligatorie in Lombardia (anche in mancanza di questi presidi) con la precisazione che in materia di sanità le regioni prevalgono sulle decisioni del governo. Un dettaglio che evidentemente era sfuggito agli amministratori lombardi  intorno al 20 febbraio quando hanno chiesto al governo di  per  decretare l’area rossa intorno ad Alzano e Nembro,  ma non hanno agito in autonomia come avrebbero potuto  dovuto.  Regione Lombardia voleva passare la palla avvelenata al governo centrale. E viceversa. E così si è atteso per 8 giorni. I risultati del ritardo li stiamo vivendo ancora, e  non sappiamo bene come andrà a finire. Intanto si evidenzia che sono stati gli industriali a frenare i politici, nel timore che un lockdown di quell’area industriale provocasse una catastrofe economica . Cosa che poi si è puntualmente verificata perché alla finesi è dovuto ricorrere a un blocco quasi totale, non applicato altrove in Europa.

E per aggiungere olio al fuoco, ricordiamo le scelte sciagurate di ospedali che hanno continuato a funzionare per insipienza o disperazione senza le dovute cautele — come se il covid non esistesse. Quindi senza nemmeno tentare di dividere i malati supposti covid da quelli possibilmente non covid. E, soprattutto, senza fornire protezioni adeguate a medici infermieri e personale. Portando avanti un meccanismo perverso. Lo stesso che ha indotto gli amministratori a distribuire malati covid positivi in alcune residenze per anziani, senza ovviamente farne parole ai degenti e ai loro familiari. E proibendo a personale e visitatori di indossare guanti e maschere per non creare il panico. Una perfetta ricetta per il disastro.

E qui arriviamo al cuore del problema.  Perché a monte di tutto c’è l’enigma  del cosa è peggio in un  frangente grave, ricco di imponderabili,  e di quale potrebbe essere la soluzione migliore. Come si vince di più o si perde di meno. Questo dilemma mi ricorda  il dramma  de La Ragazza col cappotto rosso quando scopre che il suo campo – tremila anime – è destinato ad Auschwitz dove con buona probabilità molti prigionieri moriranno. Che fare? Tacere e lasciarsi portare al macello, o parlare provocando una rivolta destinata a un bagno di sangue? È l’ardua scelta che molti hanno sperimentato in tempi di guerra e di persecuzione, molto simile  al dilemma che si è vissuto qui a febbraio, durante la nostra guerra al virus. Era meglio tacere e sperare che la catastrofe passasse da sola o parlare e prendere decisioni che sarebbe risultate sicuramente sgradite al grande pubblico seguendo calcoli chissà quanto credibili?  E sempre per restare all’Italia del coronavirus-19: pensavano  al bene del paese i  politici – scienziati – tecnici che hanno preso decisioni tardive, pasticciate e poco etiche (per esempio sulle spalle degli anziani) — o  cercavano solo di non incassare perdite troppo forti a livello personale? E come valutiamo chi doveva sapere e denunciare … e invece ha taciuto? E quale potrebbe essere il nostro compito di spettatori adesso che il marcio sta venendo fuori: chiudere gli occhi per non vedere lo scempio o tenerli bene aperti per guardare in faccia chi ha mentito, ingannato e disseminato fake news per impedire che continui sulla stessa strada?

Molte cose sono cambiate in questi quasi ottant’anni, ma la sostanza del mondo, l’essenza delle cose che si ricorda dai tempi della guerra e della persecuzione, è incisa nella pietra.

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